Argante ne Il malato immaginario, al pari di Alceste ne Il misantropo o di Arpagone ne L’avaro, portano alle estreme conseguenze il loro “mal di vivere”, ricercando a tutti i costi l’attenzione degli adulti, e non si può non sentire un pizzico di tenerezza nei loro confronti.
In quest’opera, l’autore mette un pizzico della sua autobiografia: come Argante è vittima dell’arte predatoria dei mistificatori, così il teatro di Molière lo è dei suoi detrattori. Ed è beffardo da parte del destino che egli muoia proprio mentre interpreta questa commedia; la quale morte è seme che germoglierà dando vita a ciò che noi oggi conosciamo come teatro moderno.
Chissà cosa avrebbe scritto oggi Molière su tutto ciò che è successo a causa della pandemia? Avrebbe cambiato opinione sui dottori o avrebbe affondato la stoccata ancora di più su una categoria che, se da un lato ci è indispensabile, dall’altro non è riuscita a debellare la ciarlataneria di una parte di essa?